Sirio affronta il mondo con la curiosità, che giustamente caratterizza i bambini,con l’attrazione irresistibile per qualunque novità, ma non ha curiosità nei confronti di quegli obiettivi da telecamera, che conosce fin dalla nascita grazie alla professione della mamma e, seppur abbia solo sette anni e su di lui gravi una grave tetraplegia, davanti all'obiettivo della webcam si trova proprio a suo aggio. Vuole tenerla lui quella camera, mettere gli occhi dentro, smontarla e rimontarla magari, come fa di continuo con gli amati Lego, dei quali non importa se il tetto è in basso e la porta in su; quello è il suo punto di vista .
“La vita ci trasforma in equilibristi, pronti a lottare per spazi, relazioni, orizzonti. Quando si guarda il mondo da più angolazioni si scopre una bellezza senza fine, a cui tutti hanno diritto, anche se storti, subalterni, diversi”, dice la madre, portavoce del bambino su quei canali social, che diventano il megafono di un «combattente per la libertà e l’autonomia in una società che sappia valorizzare le unicità, che non si senta in dovere di normalizzare, che dia strumenti personalizzati a chi ha bisogni speciali».
Sirio è nato troppo presto, è rimasto all’ospedale più a lungo del previsto, quando può tornare a casa sollievo e gioia sono immensi: pesa pochissimo, ma è andato tutto bene. Otto giorni dopo, senza alcun presagio, la morte in culla il blackout, la corsa all’ospedale, la rianimazione di un corpicino minuscolo, la conta dei danni, la diagnosi di tetraparesi. E la sentenza scagliata contro un bambino di soli 50 giorni : stato vegetativo.
Ogni cosa è cambiata di colpo, Sirio è vittima di sfortuna, ma anche di leggerezza: nessun neonato dell'ospedale di Damasco è più stato dimesso dall’ospedale con un peso inferiore ai due chilogrammi.
I suoi progressi Sirio li ha conquistati da solo, dimesso con un’assistenza domiciliare di due ore, quando ne avrebbe bisogno per tutto il giorno. Comincia una lunga serie di notti in bianco e di trafile di avvocati, di ore passate a studiare e a far la coda agli sportelli. Senza mai arrendersi: la famiglia ottiene dall'ospedale pediatrico, Bambino Gesù di Roma, una pedana basculante con la quale il bambino fa enormi progressi nell’equilibrio; scova in Rete notizie utili; comincia a orientarsi in un universo di sigle incomprensibili, codici riabilitativi, protesi mai viste, parental coach inaspettati: come “la banda del tubo”, pagina su Facebook di mamme di bambini con patologie varie, che si scambiano conforto e informazioni sugli ausili dei loro figli.
Grazie a tutori disegnati su di lui inizia a muoversi. La tracheotomia ostacola il linguaggio ma lui trova le strade per comunicare. L’udito, dopo due interventi alle orecchie, ha bisogno di protesi acustiche: ma lui sa come farsi sentire. La disfagia lo priva dei sapori, con la peg gli alimenti entrano direttamente nello stomaco, eppure i suoi gusti si fanno lo stesso più nitidi, esprime le emozioni, fa i capricci, chiede di giocare. L’universo familiare, gradualmente, si moltiplica: arrivano logopedisti e neuropsichiatri, esperti di alimentazione e di riabilitazione motoria, medici che gli insegnano persino come si finisce a faccia in giù dalla sedia a rotelle, senza farsi i danni dell’ultima volta: naso e denti rotti. Arriva Jenny, l’infermiera che lo segue di continuo, gioca con lui, ne intuisce ormai necessità e desideri.
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