Fra i numerosi santi che possono fregiarsi del "titolo" di co-patrono o patrono secondario di Palermo, spicca Sant'Onofrio. Su pressione popolare, gli fu attribuito nel 1650.
Le notizie biografiche sul santo sono scarne: forse nacque in Tebaide nel IV secolo d. C.. Visse da eremita per quarant'anni nel deserto egiziano e si distinse per povertà e intensa religiosità. Non fu mai attratto da materiali ricchezze e onori. La leggenda dice che un discepolo un giorno gli chiese: "qual è la via della santità?". Ed il santo eremita gli rispose secco: "l'umiltà". Queste singolari caratteristiche, morali e religiose, gli procurarono nel tempo non poche simpatie. Alcuni palermitani, nel 1568, fondarono, inizialmente composta da dodici sacerdoti e settantadue laici, la Compagnia che porta il suo nome. Successivamente, furono reperiti i necessari fondi, per costruire una chiesetta, situata nello slargo esistente a pochi passi da via Maqueda, subito dopo discesa dei Giovenchi e poco prima dell'antica via Panneria, dalla quale si giunge al Monte di Pietà.
Ovviamente chiesa e slargo furono intestate a Sant'Onofrio. Nel luogo di culto, dove non difettano stucchi e pitture, è collocato nell'altare maggiore un grande quadro raffigurante il santo anacoreta opera di Giuseppe Salerno, detto lo "Zoppo di Gangi", ed una statua lignea risalente al 1603, notevolmente annerita, scolpita da un artista non vedente detto "il Cieco di Palermo". Due geniali personalità che molto hanno dato all'arte, a dispetto della loro disabilità che non ha impedito ad entrambi di dare sfogo all'innegabile estro che li contraddistingueva.
Dal 1985, il 12 giugno, giorno di festa dedicato al santo, la scultura lignea è portata in processione per le vie del mandamento Monte di Pietà. La statua, non molto alta, è ornata, dalla testa ai piedi, da lunghi peli, magistralmente scolpiti, ed è "vestita" con pelli di animali. Dal punto di vista estetico non si può dire che quello raffigurato sia uno dei santi più belli di Santa romana Chiesa. In ragione di questo fatto i palermitani, di feconda immaginazione, lo gratificarono subito con il termine, non proprio elegante, di "pilusu", sterilizzando così ogni preesistente debita distanza devozionale per trasformarlo in un santo alla mano anche se "padre" di questa città.
Santu Nofriu pilusu, l'appellativo usato per sottolineare una vicinanza che ha permesso ai devoti di rivolgersi a lui direttamente in lingua siciliana. Usanza mai tramontata. Ma non è finita qui. Secondo quanto riferisce Giuseppe Pitrè, il santo era preposto, per decisione unanime, a far trovare, attraverso l'immancabile miracolo, il tanto desiderato marito alle donne. Un compito che viene assolto tuttora, per un'utenza molto più ristretta, nel rispetto pedissequo della tradizione ormai plurisecolare. In proposito, è tuttora in vigore la seguente orazione propiziatrice:
"Santu Nofriu pilusu, tuttu amabili e amurusu, pì li vostri santi pila, fascitimi stà grazia, di ccà astasira.Santu Nofriu pilusu, lu me cori ètuttu cunfusu, pì li vostri santi pila, fascitimi sta grazia, di ccà astasira.Santu Nofriu pilusu, misi un muranu n'to pirtusu, pì li vostri santi pila fascitimi truvari chiddu cà pirdivi di ccà astasira. Santu Nofriu pilusu, iu vi pregu di ccà jusu: vui stà grazia m'ati a fari, iu mi vogghiu maritari".
15/06/2021
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