Gioia e picconate, abbracci e idranti, sbarre che si alzano e fiumane di vessati che sfociano nella libertà: la notte della caduta del Muro di Berlino, fu tutto questo e definirla 'storica' è quasi riduttivo.
Era il 9 novembre del 1989, una data destinata a rimanere impressa nell'immaginario collettivo come il simbolo della fine della cortina di ferro, del mondo diviso in due blocchi atomici e della riunificazione della Germania.
Il preludio a questo evento epocale si era manifestato attraverso le fughe estive dei tedeschi orientali attraverso Ungheria e Cecoslovacchia, seguiti dalle dimissioni del leader della DDR, Erich Honecker, il 18 ottobre. Questi avvenimenti avevano già annunciato un cambiamento imminente, ma nessuno poteva prevedere l'esplosione di emozioni e la rapida caduta del simbolo tangibile della divisione.
La notte in questione iniziò poco prima delle 19 con la conferenza stampa del portavoce del governo della DDR, Guenter Schabowski. Una domanda del corrispondente dell'ANSA a Berlino est, Riccardo Ehrman, innescò una serie di domande che portarono a un annuncio epocale: si poteva oltrepassare il Muro. La notizia si diffuse rapidamente e decine di migliaia di berlinesi dell'est si diressero verso i posti di frontiera.
Le guardie, colte di sorpresa da un afflusso così massiccio, chiesero ordini su come comportarsi ma alzarono le sbarre bianche e rosse, permettendo a tutti di passare senza controlli. Era una resistenza senza equipaggiamenti anti-sommossa, impossibile o sanguinosamente inutile. La sorpresa iniziale e l'incredulità per la beffa ai Vopos, gli agenti della Polizia del popolo, lasciarono spazio a una notte di festa. Per quasi 30 anni, i Vopos avevano sparato contro chiunque cercasse di scavalcare il Muro e si erano resi responsabili della morte di almeno 140 fuggiaschi solo a Berlino.
La notte fu un tripudio di libertà. Il flusso di tedeschi dell'est fu accolto dagli applausi di concittadini dell'ovest. Si urlava "libertà" e si abbracciavano parenti divisi per decenni. Giovani, gran parte di chi si mosse quella notte, vedevano luoghi di cui avevano solo sentito parlare dai più anziani, come l'elegante viale Ku'damm. Si stappavano bottiglie, si accendevano fiaccole, si sventolavano bandiere della Germania e prime copie di un tabloid che già annunciava 'Berlino è di nuovo Berlino'.
Ma l'iconografia scolpita nelle menti è fatta dai ragazzi che si arrampicano sul Muro, tirandosi su a vicenda; dal piccone che solleva polvere dalla granitica sommità della barriera; dal lavorio di martelli grandi e piccoli, dei primissimi 'Mauerspechte', i 'picchi del Muro'. E poi i potenti idranti cui si resiste in piedi o, in maniera irridente, accovacciati dietro un ombrello. Una confusa consapevolezza che sono solo schizzi alzati dal debole colpo di coda di un regime agonizzante: in tre giorni, due milioni di persone passarono il confine sancendo la fine di un mondo.
"Il muro era come una macchina del tempo. Si passava Checkpoint Charlie e si piombava nel passato, negli anni Cinquanta. Meno luci, niente insegne, anche l'aria aveva un altro odore, impestata dalle Trabant, le vetturette in plastica simbolo dell'industria nella DDR", ha scritto Roberto Giardina, giornalista e scrittore, testimone di quegli anni.
La notte del 9 novembre 1989 non fu solo la caduta di un muro di cemento, ma l'abbattimento di un simbolo che aveva separato famiglie e culture per decenni. Fu la notte in cui la Storia sferragliò e fischiò così sonoramente da rendere impossibile non accorgersene, portando con sé un'ondata di libertà e cambiamento che avrebbe modellato il futuro dell'Europa e del mondo intero.
09/11/2023
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