Il covid uccide Milkha Singh, il ‘Sikh volante” che per l’India, oggi afflitta dalla piaga del coronavirus, era una delle leggende dell’atletica più grandi. L’ex campione è morto all’età di 91 anni portandosi dietro la fama imperitura di mezzofondista di razza, vincitore di diversi ori e stella delle Olimpiadi di Roma del 1960. Fu in quell’occasione che le doti atletiche di Milkha fecero il paio con il suo battage di “personaggio” che bucava il neonato piccolo schermo: quei sui capelli lunghissimi annodati sulla parte alta del capo secondo l’usanza Sikh e quell’aria esotica in un mondo che stava appena imparando a guardare oltre i propri confini gli valsero una fama perfino superiore al suo talento.
Talento tuttavia indiscusso, visto che a Roma ‘60 Singh ottenne un lusinghiero quarto posto nella finale dei 400 metri. E la storia personale di Milkha non fece altro che contribuire al carisma del personaggio: da adolescente Singh era scampato ai massacri nelle lotte per l’indipendenza indiana del 1947 e la sua tessa famiglia venne sterminata. Non è un caso che l’attentissima Bbc abbia voluto tributare all’atleta scomparso un ricordo incentrato su un titolo iconico: “L’uomo che imparò a correre per salvarsi la vita”.
La morte di Singh per covid è avvenuta nell’ospedale di Chandigarh, nel nord dell’India ed è sopraggiunta a pochi giorni di distanza dalla scomparsa dell’85enne moglie del campione, Nirmal Kaur, anche lei sportiva di grana finissima ed ex stella dalla pallavolo. Nei campionati asiatici Singh aveva vinto cinque medaglie d’oro.21/06/2021
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